Lingua morlacca

Da Mizar.

Lingua morlacca (morlacco) è il termine usato specialmente nei decenni a cavallo tra il XVII e il XIX secolo per designare la lingua parlata dai Morlacchi nell'area del Quarnero, nel territorio della regione della Morlacchia e nell'entroterra della Dalmazia.

a lingua morlacca (morlacco) è una lingua neolatina quasi scomparsa. Veniva parlata principalmente nell'area del Quarnero, nel territorio della regione della Morlacchia e nell'entroterra della Dalmazia.

Secondo il censimento della Croazia del 1991 parlavano il morlacco solo 22 persone in Istria. Tuttavia lo storico Ervino Curtis asserisce che: Template:Citazione

Lingue collegate[modifica]

La lingua morlacca o morovalacca è una delle lingue romanze balcaniche e può essere collegata/annessa alla lingua istrorumena (classificazione iso3=ruo), ma anche alla lingua dalmata (classificazione iso3=dlm). Questo perché non si hanno fonti storico-letterarie dirette del morlacco e della sua precisa evoluzione geografica e storica.Template:Citazione necessaria

La presenza di molte parole di origine latina nel dialetto croato ikaviano dimostra il collegamento del morlacco con la lingua croata, avvenuto nel medioevo. Il linguista Pavle Ivić afferma che la lingua neolatina era parlata fino all'invasione turca in un'estesa area della Jugoslavia adriatica e delle Alpi Dinariche.[1]

Il nome Morlacchi deriva da Mauro-Vlachs o Mavrovlachi, anche Nigri Latini in lingua latina, che significa "Valacchi Neri", dove con Neri si intendeva del Nord se si considera l'usanza dei turchi a nominare i punti cardinali con i colori (Nero = Nord). La parola "morlacchi", secondo la tesi alternativa del linguista italiano Carlo Tagliavini, può venire dalla sincopatizzazione di "morava valacchi", cioè "mor(ava va)lacchi" o valacchi del fiume Morava.

Storia[modifica]

Il termine "morlacchi" (mauro-valacchi, mavrovalacchi, morovalacchi, moravavalacchi, o "nigri latini") è usato per definire genericamente le popolazioni neolatine presenti nelle Alpi Dinariche, a nord dell'attuale Albania, dopo la fine dell'impero romano d'occidente fino ai secoli delle invasioni turche

Inizialmente l'Illiria romanizzata nel VII secolo si divise in due parti: la Dalmazia ed un'area interna montuosa occupata dagli invasori barbari (Slavi ed Avari). Infatti le invasioni barbariche non riuscirono a sopraffare le popolazioni romanizzate della costa dalmata (che si rifugiarono in città come Zara, Spalato e Ragusa), a differenza di quanto avvenne in Tracia e Pannonia. Queste popolazioni della Dalmazia (grazie ai contatti marittimi colla penisola italica) svilupparono la lingua dalmata e si mantennero collegate nel medioevo col mondo neolatino tramite la Repubblica di Venezia. Nelle montagne illiriche alle spalle della costa dalmata gli Illiri romanizzati furono sopraffatti dagli invasori barbari e solo alcuni gruppi sopravvissero dedicandosi principalmente alla pastorizia: i morlacchi. Fino all'VIII secolo non vi era differenza tra la lingua dalmata della costa adriatica e la lingua morlacca dell'interno montuoso. A partire dal IX secolo iniziò l'espansione di Venezia nell'Adriatico e conseguentemente la lingua dalmata fu sempre più influenzata dalla lingua veneta, fino ad esserne praticamente assimilata nell'Ottocento.

Il morlacco, grazie al suo isolamento montuoso, si mantenne nei territori dell'attuale Lika croata, della Bosnia ed Erzegovina, del Montenegro e della Serbia centro-occidentale (Stari Vlah) fino all'inizio delle invasioni turche. Le montagne a nord di Sarajevo erano chiamate Romansk nel medioevo, perché abitate dai pastori morlacchi, e fino al duecento la principale località della Lika si chiamava Rmanj. La toponimia dell'Erzegovina e del Montenegro ha tuttora molte parole ereditate dal neolatino dei morlacchi: basta pensare al monte Durmitor, il principale monte delle Alpi Dinariche centrali che serviva da "dormitorio" per i pastori morlacchi, oppure allo stesso nome Montenegro (cioè monte dei "nigri latini" o morovalacchi).

Negli archivi della Repubblica di Ragusa (attuale Dubrovnik) del XIV secolo vi sono riferimenti, secondo il linguista e storico delle lingue Matteo Bartoli, al fatto che le montagne del suo interno erano abitate da popoli di lingua neolatina detti Vlasi (cioè valacchi) distinti dai croati. I più consistenti di questi gruppi di morlacchi erano i Valacchi Bobanni, i Valacchi Malesevici, i Valacchi Gornji e i Valacchi Ridani. Questi Valacchi costituivano una quasi continua area etnico-linguistica che dall'Erzegovina raggiungeva i Valacchi del Danubio, nell'attuale Romania.

La Morlacchia nel Seicento

Con l'invasione dei Turchi musulmani tutto l'assetto etnico-linguistico e religioso dei Balcani iniziò a trasformarsi. I popoli neolatini, detti Arumeni in Grecia e Albania, Vlacchi in Bulgaria e nella Turchia europea, Vlasi o Morlacchi in Croazia, Serbia, Bosnia ed Erzegovina e Montenegro furono tra i più colpiti. Solo i Dalmati ne furono parzialmente risparmiati perché abitavano territori protetti dalla Serenissima Repubblica di Venezia.

Nei secoli XVI e XVII alcuni Morlacchi si trasferirono nell'area del Quarnero e dell'Istria, mescolandosi con pastori di lingua istrorumena e con gli ultimi dalmati. In quest'ultima mescolanza si completò l'evoluzione della lingua morlacca, che si può classificare lingua estinta col dalmato oppure lingua a rischio estinzione con l'istrorumeno.

Lo storico Carlo De Franceschi riferisce nel 1879 che nel cinquecento alcune famiglie morlacche si trasferirono nell'area di Rovigno, nell'Istria meridionale, secondo cronache storiche parzialmente scritte in lingua istriota: Template:Citazione

Napoleone creò le Province Illiriche in riferimento agli ultimi Illiri che ancora le abitavano parzialmente, cioè i Morlacchi (assieme ai Dalmati). Il generale napoleonico Marmont, che fece il censimento dei 257.000 abitanti di queste province, dichiarò che circa il 10% degli abitanti del Quarnero parlavano morlacco/dalmato ai primi dell'Ottocento.

Per vari secoli alcuni di questi Morlacchi rimasero stanziati anche sulle isole di Veglia e Arbe. Si stanziarono pure sulle Alpi Bebie (monti Velebiti o Vlabiti, monti dei Vlasi) tra Zara e Fiume. Essi erano un popolo poco radicato al territorio (Venezia ne favorì l'insediamento stabile con apposite leggi agrarie come la legge Grimani del 1755 che assegnava gratuitamente due campi ad ogni famiglia morlacca) e vivevano spesso in carovane avendo un loro importantissimo mercato più a sud, ad Ocrida, in Macedonia.

Quasi tutti i Morlacchi di Dalmazia tra il quattrocento e il cinquecento lasciarono il rito greco per abbracciare quello romano divenendo cattolici. Alcuni divennero musulmani e si mescolarono con le sopraggiunte popolazioni turche originando (in parte) gli attuali "Bosniaci" musulmani (detti bosgnacchi).

Nel XVIII secolo il termine morlacco venne ad assumere, soprattutto per gli abitanti della costa, il significato generico di pastore, ed assunse un significato spregiativo di uomo violento e rozzo. Ma nel risveglio culturale del pre-romanticismo, si riscoprì il mito del buon selvaggio e della poesia deigli albori dell'umanità: come in Scozia si ricoprirono (o meglio si inventarono) i Canti di Ossian, così in circoli collegati all'Università di Padova [2] si diffuse l'attenzione ai canti morlacchi. In questo clima l'abate Alberto Fortis visitò la Morlacchia avendo come guida Giulio Bajamonti che si conquistò il soprannome di bardo morlacco[3]

Secondo il censimento del 2002 della Serbia vi sono anche tra le Alpi Dinariche e la Romania circa 55.000 Valacchi, principalmente intorno al fiume Timok. Essi parlano una lingua, lontanamente imparentata al morlacco, molto simile al romeno: nel medioevo dovevano essere un ponte di collegamento tra la Dalmazia e l'attuale Romania, cioè tra i morlacchi veri e propri (i Valacchi dell'Erzegovina) ed i rumeni.

Gruppo folkloristico dei Valacchi della Serbia orientale (tra i fiumi Timok e Danubio)

Attualmente sopravvivono solo 911 istrorumeni e 22 morlacchi nell'Istria orientale (secondo il censimento croato del 1991), mentre l'ultimo dalmata scomparve nel 1898. Ancora oggi il braccio di mare che separa la Lika croata dalle isole di Veglia ed Arbe si chiama Canale della Morlacca.

Valacchi assimilati: Bunjevici e Sokci[modifica]

L'enciclopedia britannica del 1911 dichiarava che nel medioevo i maurovalacchi furono essenzialmente pastori e che nel quattrocento migrarono dall'Illiria centrale nella Dalmazia settentrionale e nella Croazia marittima, in regioni che furono chiamate "Morlacchia" fino alla fine del Settecento. Questi maurovalacchi (detti Vlasi dai serbo-croati) gradualmente finirono per identificarsi negli Slavi, dai quali assimilarono la lingua ed i costumi, ed allo stesso tempo diedero numerosi vocaboli neolatini alla lingua croata ed (in minor misura) alla lingua serba.

Secondo il linguista serbo Vuk Karadžić, un gruppo di questi morlacchi (i Valacchi Banjani) che abitavano vicino al fiume Buma (in Erzegovina) si trasferì nel Cinquecento in Voivodina, Serbia, vicino all'attuale Ungheria, creando il popolo dei Bunjevici. Egli affermò che questi Bunjevici furono citati in documenti storici come "Dalmati" e "Valacchi cattolici" che si insediarono nella città di Subotica intorno al 1526.[4] Nel primo censimento austroungarico del 1788 i 17.043 Bunjevici di Subotica sono stati chiamati "Illiri" e la loro lingua "illirico". Nel censimento del 1880 si citarono 26.637 "bunyevacok" o "dalmatok". A partire dalla creazione della Iugoslavia si usò solo il termine Bunjevici nei censimenti. Nel censimento serbo del 2002 si hanno 19.766 Bunjevici in Serbia. Attualmente alcuni Bunjevici si trovano anche nella Lika e nella Bosnia ed Erzegovina occidentale.

Inoltre si calcola vi siano circa 3.000 Bunjevici in Ungheria, dove nel 2006 è stata richiesta la classificazione ufficiale di minoranza etnico-linguistica per questa popolazione dalla lontana origine morlacca.

Un'altra popolazione con caratteristiche simili sono i cattolici "Sokci", anch'essi Valacchi originari dalla Bosnia ed Erzegovina che fuggirono in Slavonia e Voivodina dalle invasioni turche del cinquecento. I Sokci, come i Bunjevici, parlano il dialetto serbo/croato "Ikaviano-Neoshtokaviano", caratterizzato dalla presenza di numerose parole ed influenze neolatine. Attualmente il loro numero (erano quasi il 20% della popolazione croata nel censimento asburgico del 1840) si è ridotto ufficialmente a meno di 2000 in Croazia, secondo il censimento del 1991.

Scritti in morlacco[modifica]

Non si hanno scritti nella lingua dei pastori morlacchi. Il linguista Matteo Bartoli considerava che la lingua dalmata parlata a Zara e nella Repubblica di Ragusa agli inizi del Rinascimento doveva essere molto simile a quella che si parlava nell'entroterra dalmato (cioè il morlacco dei vari gruppi Valacchi dell'Erzegovina) per via dei continui scambi commerciali.[5]

In una lettera scritta in antico dalmato, inviata da Zara alla Repubblica di Ragusa nel 1397 a ser Cholane de Fanfona e pubblicata da Matteo Bartoli nel suo libro il Dalmatico, si può avere una notevole similitudine col morlacco:

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Traduzione:

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Per quello che riguarda l'isola di Veglia, colla scomparsa dell'ultimo dalmata nel 1898 non restano tracce del morlacco in tale località, ma nelle comunità istrorumene dell'Istria orientale vi sono riferimenti alla presenza dei morlacchi. Andrea Glavina, l'Apostolo degli Istrorumeni, era solito chiamare "fratelli valacchi" nei suoi scritti letterari i morovalacchi dell'Istria. Questo famoso istrorumeno, quando nel 1922 riuscì ad aprire nella sua Valdarsa la prima scuola in lingua istrorumena del Regno d'Italia, dichiarò che vi assistevano anche alcuni alunni morlacchi dell'Istria orientale.

Ancora oggi (censimento croato del 1991) vi sono 22 morlacchi nell'area del Quarnero, che parlano un dialetto della lingua istrorumena in una forma caratteristica.

Note[modifica]

  1. Pavle Ivic, "The History of Serbian culture". Porthill Publishers. Middlesex,1995.
  2. L'università di Padova era all'epoca frequentata da un nutrito numero di studenti Dalmati, che anche in seguito rimasero legati all'ambiente e a circoli culturali: tra essi spiccano Giulio e Girolamo Bajamonti, Luca Bergelić, Ivan Luca Garagnin, Niccolò Grisogono, Anton Radoš di Michieli Vitturi De Rosa
  3. De Rosa
  4. Duncan Wilson, "The Life and Times of Vuk Stefanovic Karadzic, 1787-1864 : Literacy, Literature, and National Independence in Serbia". Univ. of Michigan. Michigan,1986.
  5. Bartoli Matteo, "Das Dalmatische". A. Holder. Vienna,1906.

Bibliografia[modifica]

  • Bartoli, Matteo. Le parlate italiane della Venezia Giulia e della Dalmazia. Tipografia italo-orientale. Grottaferrata 1919.
  • Curtis, Ervino. La lingua, la storia, le tradizioni degli istroromeni. Carta Europea delle Lingue Regionali o Minoritarie. Strasburgo, novembre 1992, pp. 6–13.
  • De Castro, D. Dalmazia, popolazione e composizione etnica. Cenno storico sul rapporto etnico tra Italiani e Slavi nella Dalmazia. ISPI 1978.
  • Glavina, Andrea. Calendar lu Rumen din Istria. Bucharest 1905.
  • Greenberg, Robert. Language and Identity in the Balkans. Serbo-Croatian and its Disintegration. Oxford University Press. Oxford 2004.
  • Randi, O. Dalmazia etnica, incontri e fusioni. Tipografie venete. Venezia 1990.
  • Rocchi, L. I più antichi contatti linguistici fra gli Slavi e la Romania (Popoli e culture in Istria: interazioni e scambi). Atti del Convegno di Muggia 20-21 settembre 1987. Trieste 1989, pp. 49–54.
  • Schiffrer, C. La questione etnica ai confini orientali d'Italia. Ed. Italo Svevo. Trieste 1990.
  • Tagliavini, Carlo. Le origini delle lingue neolatine. Patron Ed. Bologna 1982.
  • Ursini, F. Sedimentazioni culturali sulle coste orientali dell'Adriatico. Il lessico veneto-dalmata del Novecento. Vol. XV degli Atti e Memorie della Società Dalmata. Venezia 1987.

Collegamenti esterni[modifica]

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